VIENI A SCOPRIRE IL SALENTO PER VEDERE L’EFFETTO CHE FA
Ci siamo. Tra poche ore Luigi e Romina saranno al Mo’ Puglia Bistrot di Milano, un incatevole tempio del gusto del Salento nel cuore del quartiere Brera. Una selezionata platea di giornalisti sarà condotta per mano in un’esperienza visiva, gustativa e olfattiva autenticamente pugliese e scoprirà l’effetto che fa il Salento. I colori delle ceramiche di Enza Fasano, i piatti della cucina del Salento, preparati secondo tradizione dallo staff di cucina di Mo’ Puglia Bistrot e i vini del progetto Susumaniello di Tenute Rubino saranno i pass par tout di questo viaggio di scoperta attraverso un’armonia di sapori intensi, irresistibili e genuini.
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Ore 20. Antefatto
A Milano è una serata davvero primaverile. Il tepore del giorno del cielo limpido ha riscaldato i palazzi e le strade. Brera è sempre animato. Tanta gente, tante storie diverse. Il rumore dei passi sui marciapiedi sembra cadenzare i movimenti delle persone che, per le vie, guardano i negozi con le vetrine che raccontano il cambio di stagione e la prossimità della Pasqua. In via Pontaccio, al nr. 5, c’è movimento già dal primo pomeriggio. Pierangelo Argentieri e i suoi ragazzi, Camillo, Davide e l’esotico Francoise stanno per ricevere degli ospiti graditi e illustri, alcuni grandi amici legati dalla terra natia ed altri, appena conosciuti. Terra, stretta e lunga che divide il mare, che guarda a ponente e che si chiama Salento, che respira di Puglia. Terra di vite, di ulivo, di grano saraceno , di pasta che diventa pane. Terra che sa di casa, di buono, di approdo. Le vele delle barche sul porto di Brindisi, questa mattina, hanno salutato Luigi e Romina di Tenute Rubino, come se sapessero che volando verso Milano, avrebbero preso più aria per uscire dal porto. Destinazione a Nord, per la città dove tutto assume una dimensione funzionale, la città degli affari, moda e giornali. Milan è sempre un gran Milan. Perbacco, è lì che gira l’economia! I ragazzi per strada ascoltano la musica delle cuffiette dell’ipod. Sono già le otto di sera e la città non è piombata del tutto nelle luci artificiali. Il chiarore del cielo lo senti ancora nell’aria, posarsi su cose e volti, a seconda dei profili dei palazzi. L’albergo non è lontano. Si va a piedi, fa bene alla linea e alla concentrazione. Cammina veloce la signora Romina, a fianco il suo uomo. Nella sua testa sta ripetendo a se stessa l’ordine delle incombenze. La prima è per suo figlio Stefano, quattro anni teneri teneri, ma un peperino rosso pungente. Del resto il Sole del Salento fa questi scherzi. La Baby Sitter l’aveva rassicurata più volte e che stesse tranquilla perché quel birbante fiorellino stava garbato a giocare e che aveva anche desinato a dovere e con profitto durevole. Le energie della crescita! Il cellulare che suona, in questo momento. Chi sarà mai. La voce che tuona “E’ quando arrivate. Mo’ datevi una mossa”.
Il fatto del Susumaniello Scomparso
“Sumarè”! Su… Susumaniello! Si pronuncia caricando il fiato perchè arrivi il senso del suo significato. Somarello carico, Susumaniello in dialetto brindisino. Sembra una favola per bambini, questo nome così particolare. Con Susumaniello il contadino brindisino, chiamava quelle piante di vite che producevano tanta frutta quanto un somaro poteva trasportare. Poi dopo qualche vendemmia, con l’età della vigna, la produzione si riduceva. Come se sapesse che anche il povero somarello aveva preso anni e le sue forze non erano più quelle di un tempo. Perché anche l’agricoltura preferisce il lieto fine come al Cinema! E noi vogliamo fare CINEMA!! Luigi Rubino è l’uomo Susumaniello. Se lo guardi a fondo, dentro, ci scorgi una vite. Aveva poco più di vent’anni quando né sentì parlare ad un vecchio fattore, malmesso come quei pochi vigneti rimasti, quelli sì di Susumaniello, pronti a declinare il loro spazio terreno ad altri vitigni più chiacchierati e di facile disbrigo. Poco più grande – sempre lo stesso Luigi decide di forzare la storia e di risalire la china impiantando decisamente, inesorabilmente e felicemente Susumaniello. Feconda che feconda. Sono nati tanti bambini. Cinque vini, cinque storie diverse, all’interno di una stessa famiglia. Quindici anni dopo. Lampante come l’acqua Recoaro. Si diceva a Milano. Lampante di genio come la lampadina di Archimede. Lampante come è Mo’ Puglia Bistrot – luogo leggendario, autenticamente frequentato da uomini leggendari. La dimensione di ciò che può assumere il piacere della tavola, con Pierangelo Argentieri libero di agire e, a volte, di pensare, difficilmente è letterariamente spiegabile. Perché ci vuole tutta l’essenza di una semplicità disarmante e austera come la corona di una regina, per raccontare che cosa può essere una cucina millenaria, ricca di apporti e sofisticherie che solo le terre mediterranee riescono a generare. Se poi – così come è autentica e salentina – e la porti a Milano, il guaglio è bello e fatto.
La Cena
La cena si è aperta con un preludio di divertissement fatto di pettoline salate, polpette, piccoli panzerotti di grano arso e verdure in pasta cresciuta abbinati al Sumaré. Questo metodo classico, fatto con le partite di uve raccolte in leggero anticipo rispetto alla loro normale maturazione sosta per 24 mesi sui lieviti selezionati prima della sboccatura.
A seguire la fascinosa trama minerale mediterranea del Torre Testa Rosé, con il suo gusto fresco e intenso sostenuto da una buona spalla acida, ha esaltato il pregiato Capocollo di Martina Franca (presidio Slow Food), la delicatezza della Burrata 100% pugliese e la sapidità della focaccia al pomodoro e del calzone di sponsale, piccoli cipollotti molto diffusi nell’alto Salento.
I primi piatti sono stati un’esplosione di sapori della Puglia fatta con i prodotti di mare e di terra, simboli assoluti della tradizione gastronomica del lembo più estremo d’Italia. L’Oltremé, rosso seducente e delicato, premiato con i Tre Bicchieri del Gambero Rosso 2017, ha fatto il gran cerimoniere dei primi piatti: la tiella di riso patate e cozze e le orecchiette fatte in casa con pomodoro fresco e basilico. La vinificazione in acciaio dell’Oltremé non intacca tutta la potenza del frutto e le note speziate tipiche del Susumaniello che, in questa versione, è uscito con una trama avvolgente, persistente ed elegante in grado di esaltare la succulenza di questi piatti.
La portata principale è un piatto complesso e ricco di note gustative: le bombette di Cisternino sono stati proposti in abbinamento al pluridecorato Torre Testa, top di gamma e il simbolo più alto del progetto Susumaniello, emblema della rinnovata verve enologica salentina. Un rosso sontuoso dalla spinta acida poderosa con tannini di una finezza senza pari che con la sua classe ed armonia darà vita ad un ventaglio di sensazioni uniche con il gusto intenso delle bombette, accompagnate con delle patate alla cenere.
Il finale dirompente! Dove sta il Susumaniello
Nel momento culminante, nel finale travolgente, sulla tavola imbandita, è scomparsa la bottiglia. Dove mai sarà finita. Camillo non l’ha presa – è figlio d’arte, genuino e bravo come il padre – e neanche l’Andrea che a Milan non sgarra mai, tanto si sente a suo agio. Sarà forse stato Giovanni che al telegrafo batteva con un tasto solo. Ellittico, da buon telegrafista, conobbe il Torre Testa di Tenute Rubino che un giorno sfuggì. Storia viva e urgente. Storia di viticoltura sul mare e di pensieri che non temono le avversità. Anche grazie agli uomini vite. Sarà Miracolo a Milano anche questa volta. Noi italiani amiamo il finale come quel drago di Cerutti Gino. Di questa combriccola radunati al Mo’ Puglia Bistrot, la sera di questo 28 marzo, in Brera, si racconterà nel tempo, come accade agli uomini leggendari. Si conobbe l’alba, non si sa! Si dice anche che hanno cantato, e parlato e scoperto, soprattutto, l’effetto che fa. Chi? Il Salento, No! Perché sempre allegri bisogna stare.