13.03.2020

Il sito archeologico di Jaddico

Viaggio nella storia vitivinicola della Puglia

 

Il sito archeologico di Jaddico - Viaggio nella storia vitivinicola della Puglia

Già nel I secolo a.C., a cavallo tra la fine dell’età repubblicana e l’impero romano, gran parte dei terreni dove oggi si trovano i vigneti delle Tenute di Jaddico e Marmorelle erano destinati alla coltivazione della vite.

La dorsale adriatica è stata sin dall’antichità una terra di approdo e di passaggio, in particolar modo, per collocazione strategica e conformazione del suo territorio, il tratto che da Brindisi arriva sino a Santa Maria di Leuca. A un tiro di schioppo dal mare Adriatico, sul litorale brindisino del Salento, infatti ci sono terre che esprimono un valore storico di gran pregio, dove la coltivazione della vite ha sempre rappresentato non soltanto la risorsa primaria per l’economia dei luoghi, ma anche un importante motore di sviluppo economico.

L’intero fondo apparteneva a Visellio, un personaggio di origini non locali, cugino di Cicerone, relativamente influente nella politica romana di quel periodo. Proprio in questo territorio, Visellio gestiva una notevole produzione di uve e commercializzazione di vino, come confermano gli scavi degli anni ‘80 che hanno portato alla luce due siti archeologici di eccezionale valore con impianti affini: uno a Giancòla, nella tenuta di Jaddico e un altro nella tenuta di Marmorelle. I ritrovamenti hanno fatto emergere una villa padronale, una cantina, una statua di marmo che rappresenta Bacco, e fornaci per la fabbricazione di anfore che servivano per conservare e trasportare il vino nei territori dell’impero, grazie anche alla localizzazione dei vigneti che ancora oggi si trovano a ridosso del mare.

Le anfore di Brindisi
La tarda età repubblicana, periodo di inizio dell’impero, è coincisa con la fase di massimo sviluppo della produzione di anfore a Brindisi a testimonianza di come quello è stato un periodo florido per questo contesto produttivo grazie ad importanti progressi tecnici e organizzativi. Secondo le ipotesi degli archeologi, tutti questi impianti erano collocati in luoghi dove vi era una ingente disponibilità di argille. Gli schiavi addetti alla produzione delle anfore sagomavano prima le anse, poi le bollavano e solo successivamente le attaccavano al contenitore già modellato: spesso infatti si trovano i segni delle dita dei ceramisti lasciate durante la pressione esercitata per fissare i due manici al corpo dell’anfora.

La cottura avveniva in forno e di norma durava diversi giorni; quindi si attendeva il raffreddamento naturale prima di smontare la copertura ed estrarre i recipienti pronti all’uso.

È stato calcolato che un forno di 70 metri cubi poteva contenere anche mille anfore disposte su sette o otto livelli e che per la cottura venivano impiegati circa 50 tonnellate di legna.

Dall’interessante sito di Giancòla, ubicato poco più a sud sul versante orientale del canale, all’epoca navigabile e dove fu ricavato un comodo approdo, sono state ritrovate delle anfore con i bolli sulle anse riportanti i nomi di Apollonides, Archelia e Philippus, riferiti alla manodopera servile impegnata negli impianti di proprietà di Visellio nel I secolo a.C. L’impianto produttivo era costituito da due grandi fornaci rettangolari ed una a forma circolare, con camere di combustione interrate sulle quali si reggevano i piani forati (attraverso cui avveniva la trasmissione del calore) dove venivano appoggiati i materiali da cuocere.

La copertura sovrastante era costituita da una volta, facilmente rimovibile e di buona tenuta termica. Appartenevano anche a Visellio gli impianti situati a Marmorelle, sempre in prossimità del canale Giancòla. Qui, oltre a numerosi reperti ceramici, sono stati rinvenuti anche i resti di quattro fornaci rettangolari disposte in maniera parallela.

Anche oggi, qualche secolo dopo, Jaddico continua a essere espressione della vocazione vitivinicola della Puglia e, per noi, la tenuta più rappresentativa.